venerdì 30 ottobre 2015

Breve riflessione sul 30 ottobre – anno cinquantacinquesimo

Bar Nilo
di Luca Bifulco

30 ottobre, anno maradoniano 55. Chi oggi ha aperto la propria pagina di Facebook avrà, con ogni probabilità, vissuto la mia stessa esperienza: quella di trovare la propria home invasa dagli auguri per il compleanno di Maradona che i tifosi del Napoli hanno postato copiosamente sui propri profili. Immagini del calciatore argentino, con la divisa del Napoli o quella della sua nazionale, vengono corredate da frasi di giubilo e cori augurali di molteplice fattura. A volte i toni sono misurati, spesso – invece – abbondano termini fragorosi con cui si esprime la propria devozione nei confronti del campione degli anni ’80: lo si chiama D10S, ad esempio, a volte si preferisce non nominarlo – proprio come alcune indicazioni bibliche prescrivono di fare con la divinità – limitandosi magari ad un semplice “Iss’” (“lui” nel dialetto partenopeo,) e non pochi propongono, tra il blasfemo e il rivoluzionario, che oggi si festeggi il Natale.
Un sociologo non può non interrogarsi su un amore sacrale per un giocatore che ha di fatto appeso le scarpe al chiodo più di venti anni fa, una devozione che persiste indissolubilmente nel tifo partenopeo, anche in un’epoca calcisticamente gratificante come quella odierna. Anche i giovani tifosi, che non hanno vissuto direttamente la gioia del Napoli maradoniano e dei suoi trionfi, sembrano aver acquisito, nel proprio senso di appartenenza, il riferimento al culto del calciatore argentino.
Proprio per comprendere questo fenomeno, circa un anno fa raccolsi, insieme a Vittorio Dini, le riflessioni di alcuni colleghi italiani e sudamericani in un volume collettivo Maradona. Sociologia di un mito globale (Ipermedium libri, 2014). Per abbozzare una fase – ancora iniziale – di quella che Pablo Alabarces propone addirittura come disciplina con piena dignità: la maradonologia.
Non si può ignorare come, a distanza di così tanto tempo dai suoi trionfi calcistici e sostanzialmente senza aver travasato la sua eccellenza in attività diverse (le sue esperienze come allenatore, dirigente o show man non sembrano memorabili), il personaggio-Maradona conservi una centralità presso l’attenzione pubblica che assume tratti singolari. In modo assoluto tra i tifosi del Napoli, ma non solo.
I supporter partenopei, di ogni generazione, ancora oggi si identificano nella sua grandezza calcistica. I suoi trionfi e la sua eccellenza sportiva sono ancora una risorsa significativa dell’amor proprio collettivo di una comunità di tifosi (spesso proiettato all’interno di una vanitosa appartenenza territoriale), tanto da alimentare una feconda retorica del riscatto sociale: ovvero, il senso di una sentita rivincita, resa possibile dalle gesta maradoniane, contro il potere delle squadre ricche (e del Nord…), con una risoluta riabilitazione rispetto ai continui problemi della città.
Oggi Maradona, per il tifo napoletano d’ogni età, è – sebbene con toni emozionali diversi – principio assoluto, dottrina vera e propria, tradizione indiscussa, sistema di valori (calcistici) supremi con cui giudicare l’epoca contemporanea. La sua figura, che oscilla nell’immaginario tra l’eroismo, la mitologia e il simbolo di identificazione collettiva, vive la tipica semplificazione che questa tipologia di dedizione richiede: la messa tra parentesi di ogni ambivalenza. Il negativo della sua vita, del suo carattere, le contraddizioni molteplici che lo hanno caratterizzato e ancora lo caratterizzano non sono negate dai tifosi, sono ben conosciute, ma vengono messe in un angolino, rese secondarie e per certi versi inoffensive.
Una forma di comoda dimenticanza? Certo! Ma non avviene lo stesso per gli eroi politici, i santi, i padri di una nazione? Nella storia non esiste alcuno stato nazionale che non sia stato edificato nel sangue, per non parlare delle controverse biografie di tanti difensori della dottrina religiosa o degli uomini gloriosi della storia politica. Il meccanismo della dimenticanza è il medesimo. L’accantonamento delle ambivalenze e delle contraddizioni per mantenere un’identificazione pura e gratificante non cambia.
I tifosi partenopei non sono allora un’eccezione ottusa, banale e biasimabile.
Per chiudere, un paradosso: trovandomi, per ragioni di lavoro, a parlare spesso di sociologia del calcio e – giocoforza – di Maradona con amici, conoscenti o passanti, mi sono accorto che a volte questa sospensione dell’ambivalenza travalica il reame sportivo. E va oltre il tifo per il Napoli. Ad esempio, alcuni esponenti nostrani del calcio popolare, radicali nemici del calcio commerciale, una volta mi hanno detto: Maradona però è un grande! Vale a dire, un’icona politicamente rispettabile, perché la sua immagine si propone come quella di un ribelle antagonista del potere, sia nel calcio che nell’arena della politica mondiale. Eppure il suo rapporto col potere politico non è stato sempre privo di contraddizioni e ambiguità, così come il suo rapporto col denaro.
E, non di rado, qualche amico che si disinteressa del tutto di calcio, mi ha rivelato: ma Maradona è un’altra cosa! Intendendo, in pratica, che è principio estetico supremo e simbolo di riscatto politico.
Insomma, un’immagine che va ben oltre i suoi successi calcistici, di sicuro ben oltre i suoi meriti esistenziali. Ma perché? Ha ragione Alabarces: urge una sostanziosa maradonologia!

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