lunedì 17 marzo 2014

Il calcio come chiave per comprendere il nostro tempo

di Francesco Pirone

Il dibattito culturale e intellettuale nel nostro paese ha spesso trascurato il calcio e il complesso insieme di fenomeni sociali che ad esso sono connessi. Vittime di pregiudizi e di letture superficiali del mondo dello sport, studiosi, intellettuali e opinion leader hanno considerato il calcio come un fenomeno popolare, culturalmente povero o (peggio) come questione sociale di devianza e violenza. Si pensi a quanto accade, ad esempio, in relazione a fatti di cronaca di scontri o dei cori in occasione delle partite di calcio.
Eppure il calcio nel nostro paese, come nel resto d'Europa, cattura l'attenzione di milioni di persone che lo praticano e lo seguono con interesse e passione. Un intero settore economico si è inoltre sviluppato intorno alla capacità del calcio di attirare l'attenzione di masse estese e diversificate di appassionati. Ciò nonostante intorno a questi fenomeni non si riesce a produrre una conoscenza più approfondita in grado di andare oltre l'informazione giornalistica, spesso di ottima qualità ma limitata. Anche il discorso politico non sembra in grado di cogliere e valorizzare le potenzialità di sviluppo economico e integrazione sociale che la valorizzazione del calcio potrebbe offrire per il paese e su scala territoriale.

Su questi temi è stata tenuta l'11 marzo presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II una lezione dal titolo Il calcio: un confronto tra esperienze di ricerca e competenze professionali, organizzata in occasione della recente pubblicazione del libro A tutto campo. Il calcio da una prospettiva sociologica. Durante l'evento sono state messe a confronto le esperienze di ricerca sul tema del calcio coinvolgendo anche gli operatori locali del settore, per cercare di contaminare e tenere uniti in un discorso unitario la produzione di conoscenza, la formazione universitaria e l'esperienza professionale degli operatori, con riferimento al contesto locale - a Napoli, come nel resto della regione - che esprime un'elevata e specifica cultura calcistica. Non a caso è intervenuto il prof. Christian Bromberger, dell'Université Aix-en-Provance, un etnologo che già in passato ha studiato la passione del calcio a Napoli e che definisce il calcio come un "dramma filosofico". Di fronte alla sportivizzazione della vita sociale e del linguaggio comune che sempre più spesso usa metafore calcistiche - Letta o Renzi, ma su tutti Berlusconi e Forza Italia - la conoscenza del calcio ci consente di leggere e comprendere le ambivalenze profonde della cultura contemporanea, le ambiguità e le contraddizioni insolute tra l'individuo e collettivo, il merito e la fortuna, il rispetto delle regole e l'imbroglio.
Su un piano diverso degli interessi economici il calcio riflette e ci fa comprendere la struttura delle economie contemporanee post-industriali. Su come sono fatti i mercati di oggi, tutt'altro che concorrenziali, con la formazione di posizioni di dominio e di rendita. Basti pensare al ruolo che hanno i procurato dei calciatori che si appropriano, secondo stime Uefa aggiornate, del 15% del valore totale delle transazioni globali per lo scambio di calciatori. E si parla di diversi milioni di euro, divisi tra gruppi molto ristretti di agenzie e operatori.

Ma il calcio è anche incentivo al consumo, allo sviluppo di attività radicata nel territorio - spesso a riparo dalla globalizzazione - veicolo per l'integrazione sociale, come nel caso dell'integrazione degli immigrati, e veicolo di stili di vita sani e di prevenzione sanitaria. La politica non ha ancora acquisito consapevolezza di questo ruolo trasversale che il calcio, e più in generale, lo sport hanno nella ridefinizione di nuove politiche territoriali per lo sviluppo, l'integrazione sociale e la promozione del benessere. Ciò accade perché esiste ancora un pregiudizio radicato verso la dimensione ludica della vita sociale, come sottolinea il prof. Gianfranco Pecchinenda, che investe l'accademica, il mondo della cultura e gli stessi policy maker. L'incapacità di comprendere questa dimensione segna un limite nel capire l'antropologia contemporanea e l'evoluzione stessa della società contemporanea.
Il mondo intorno a noi è cambiato rapidamente sotto la spinta della globalizzazione e della diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa e il "nuova calcio" - come lo chiama Vittorio Dini - ha anticipatamente mostrato la crisi delle identità nazionali e il riemergere delle identità territoriali, come pure la perdita di rilevanza delle relazione "faccia a faccia" a vantaggio della rappresentazione mediatica: con il passaggio dal play al display nel calcio, una formula magica, ricorda ancora Dini, che può essere utilizzata per comprendere il carattere della società di oggi che vive una vita sociale sempre più estesa attraverso uno dei tanti display che lo circondano dal pc allo smartphone, alla vecchia televisione.

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