di Francesco Pirone
Linkabile, 8 agosto 2014
Lo sport è un fenomeno di
massa di grande rilevanza sociale, profondamente radicato nella cultura
materiale del nostro paese. Basti pensare al nostro quotidiano, sia come
praticanti di qualche disciplina sportiva, sia come appassionati e quindi
spettatori, più o meno attivi, delle competizioni sportive. Se l’esperienza
quotidiana non bastasse, allora si consideri che in Italia, secondo le ultime
statistiche dell’ISTAT aggiornate al 2013, circa il 30% della popolazione
italiana di tre anni e oltre – pari a circa 17,7 milioni di persone – dichiara
di praticare uno sport; a questi va poi aggiunto un altro 28% (circa 16,3 milioni
di persone) che svolge qualche attività motoria: in estrema sintesi più di un
italiano su tre fa attività motoria. D’altra parte, concentrando l’attenzione
solo sullo sport agonistico, secondo i dati dal CONI, gli atleti tesserati in
Italia sono 4,5 milioni – cresciuti di oltre un quarto nel periodo 1993-2013 –
organizzati in 65mila società, con l’impiego di circa un milione di operatori
dello sport[1].
Se è quindi evidente la
dimensione di massa del movimento sportivo, meno consapevolezza si ha del
significato sociale dello sport e della sua rilevanza per la definizione delle
politiche. Nonostate le sua diffusione, infatti, lo sport continua ad essere considerato
come espressione di una cultura e di una socialità di secondo ordine. Le
ragioni di tale pregiudizio sono complesse, ma tra i fattori più rilevanti che contribuiscono
a redere lo sport un fenomeno culturale di “serie B” va paradossalmente considerata
la sua capacità di coinvolgere ampi strati sociali, compresi i ceti popolari; poi
la dimensione ludica della pratica sportiva e il suo essere legata al
cosiddetto “tempo libero” che, in base ai retaggi della cultura industriale
ormai anacronistica, è un tempo residuale rispetto a quello principale dedicato
al lavoro e alla produzione. Questi fattori impediscono di vedere chiaramente
il contributo che la pratica sportiva ha – e soprattutto potrebbe avere – in
termini di socialità, di promozione della salute e del benessere, oltre che di
sostegno ai processi di crescita e qualificazione delle economie locali.
Lo sport, infatti, ha un
potenziale – tuttora inespresso – per innovare il campo delle politiche
sociali. Il welfare state, infatti,
si è sviluppato secondo la logica assicurativa a partire da alcuni (pochi)
rischi sociali, quali la malattia, la vecchiaia, l’inabilità e così via. Questa
logica è oggetto di ripensamento, soprattutto nel mondo anglosassone, già da
metà anni Novanta, secondo l’idea della welfare
society, vale a dire in una diversa prospettiva che punta alla creazione
delle condizioni che generano un miglioramento della qualità della vita delle
persone. In altri termini, si tratta di pensare a politiche non solo per
fronteggiare una situazione di bisogno, ma anche per promuovere lo sviluppo
sociale del cittadino. Si tratta di politiche
per la vita (Life Politics) che
adottano la logica “generativa” di opportunità per il miglioramento della
qualità della vita alla quale, tra l’altro, i cittadini sono sempre più
sensibili. In questa prospettiva lo sport dimostra di essere un ambito di
azione di formidabile efficacia, perché consente di promuovere, tra l’altro, la
socialità e l’integrazione sociale – si pensi agli immigrati e le minoranze
etniche – la salute e il benessere psico-fisico attraverso la diffusione di
migliori stili di vita e dell’aggregazione, l’attivazione civica (circa il 30%
del non profit in Italia è fatto da associazioni sportive) e la promozione
economica territoriale.
Non si tratta, però, di
meccanismi automatici. Lo sport è di per sé un fenomeno sociale ambivalente che
richiede la mediazione professionale esperta per essere impiegato nelle
politiche. Ad esempio lo sport ha benefici per la salute se viene svolto correttamente
sotto la direzione di un tecnico esperto; oppure lo sport può funzionare per
integrare una minoranza etnica, ma se non opportunamente mediato può essere
all’origine di discriminazioni e atteggiamenti razzisti; lo stesso nell’ambito
della socialità, può essere fattore di aggregazione e socievolezza, ma anche
all’origine di conflitti e violenza. Per questo motivo è necessaria una sempre
aggiornata regolamentazione pubblica del settore, volta a promuovere la cultura
sportiva e a programmare le modalità di governance per la crescita e la
qualificazione del settore.
La legislazione sullo
sport è affidata prevalentemente agli enti regionali che in Italia hanno
proceduto in autonomia dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. La
Regione Campania ha aggiornato soltanto nell’autunno scorso il quadro normativo
regionale in materia di sport con la L.R. n. 18 del 25 novembre 2013 “Legge
quadro regionale sugli interventi per la promozione e lo sviluppo della pratica
sportiva e delle attività motorioeducativo-ricreative”. Si tratta di un atto
importante che finora però non ha avuto ancora esiti in termini di
programmazione e di politiche. Ciò è estremamente preoccupante visto il
sottosviluppo dell’attività sportiva e della pratica motoria su scala
regionale. In Campania, infatti, si registrano i valori più bassi d’Italia in
termini sia di percentuale di persone che praticano uno sport (18% rispetto
alla media nazionale di 30%), sia di persone che svolgono un’attività fisica
(21% rispetto alla meda di 28%). È poi significativo che a differenza del resto
del Paese, queste percentuali si sono ridotte nell’ultimo decennio. Anche nello
sport agonistico la Campania presenta la più bassa densità per abitanti sia di
atleti, sia di società sportive. E lo stesso primato negativo si registra nel
Terzo settore dove le associazioni sportive campane sono in rapporto alla
popolazione meno diffuse e poi di dimensioni medie inferiori ai dati nazionali.
Si tratta di indicatori comprensibili alla luce delle condizioni economiche e
sociali regionali in virtù del fatto che la pratica motoria e dello sport è
legata, in circoli virtuosi, con i processi di crescita economica e sociale.
Per la Campania si tratta ora di provare ad attivare questi circoli virtuosi a partire dall’implementazione del quadro normativo di recente ridefinito, puntando alla valorizzazione degli operatori economici e sociali già attivi sul territorio in una prospettiva di innovazione e qualificazione dell’intero settore e della sua integrazione nell’ambito delle politiche socio-sanitarie, culturali e di sviluppo locale.
[1] La fonte dei dati è CONI-ISTAT, Lo
sport in Italia. Numeri e contesto 2014, CONI Servizi e Osservatori
Statistici per lo Sport, Roma, 2014.
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